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Fondamentali di Node.js (originariamente pensato per studenti UniTN)

License: Creative Commons Attribution Share Alike 4.0 International

nodejs-fundamentals's Introduction

Fondamentali di Node.js This work is licensed under a Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International License.

Indice:

Cos'è?

Node.js è un runtime per JavaScript, cioè un ambiente che permette di eseguire del codice JavaScript.

L'equivalente di Node.js per Java è il JRE (Java Runtime Environment), che in fase di sviluppo è affiancato dal JDK (Java Development Kit), cioè una suite di tool di compilazione per permettere lo sviluppo di un'applicazione.

Per chi conosce .NET Core, vale la stessa analogia. L'SDK si usa in fase di sviluppo, mentre CoreCLR (Common Language Runtime) in fase di esecuzione del programma.

Documentazione di JavaScript

La documentazione più autorevole per trovare informazioni su JavaScript è quella di Mozilla, che si chiama MDN. Dalla homepage di MDN, si può accedere alla sezione dedicata a JavaScript dal menù "Technologies".

Non usare W3Schools, grazie.

Un linguaggio interpretato o compilato?

JavaScript non è un linguaggio compilato, ma prevalentemente interpretato. Ciò significa che per eseguire un programma scritto in JavaScript ci vuole il codice sorgente del programma.

Si dice prevalentemente interpretato perché nelle implementazioni più recenti il codice sorgente del programma viene in realtà compilato, ma just in time (JIT). Significa in pratica che se hai un ciclo che esegue un'istruzione un milione di volte, l'interprete/compilatore anziché "interpretare" l'istruzione un milione di volte, la compila, in modo da aumentare le prestazioni (la compilazione JIT è leggermente più lenta dell'interpretazione, ma il tempo speso viene rapidamente e largamente recuperato).

Per eseguire del codice JavaScript c'è quindi un solo passaggio, e cioè si invoca l'interprete sul codice sorgente, e lui lo esegue, subito.

In Java, invece, un file di codice viene compilato in un file con estensione .class, che contiene il bytecode (cioè un linguaggio intermedio), e poi in un momento separato viene eseguito (usando la JVM).

Versioni di JavaScript

Negli ultimi anni, lo sviluppo di JavaScript ha avuto uno "sprint", anche grazie a Node.js, per cui sono spuntate in un paio di anni due versioni che hanno cambiato non di poco il modo in cui si scrive codice JavaScript.

La cosa più importante da sapere è che lo standard di JavaScript rilasciato nel 2015 e chiamato ECMAScript 2015 (o ES6 a volte) ha introdotto delle funzionalità importanti nel linguaggio, per cui quando si scrive del codice in ES2015 bisogna fare attenzione al fatto che poi l'interprete deve supportare questa versione di JavaScript.

Se usi l'ultima versione LTS di Node.js non c'è da preoccuparsi, perché supporta a pieno ES2015.

Le variabili in JavaScript

C'è una cosa importante da dire sulle variabili in JavaScript.

Precedentemente ad ES2015, c'era solo un modo per dichiarare ed inizializzare una variabile, e cioè usando la parola chiave var:

var gino = true;

Di recente è stata introdotta anche la parola chiave let, che ha un'importante differenza, e cioè lo scope di validità della variabile creata.

function ciao() {
	if (true) {
	    var gatto = 1;
	    let cane = 2;
	}
	
	console.log(cane);
	console.log(gatto);
}

Che cosa succede qua? La variabile gatto, creata all'interno del blocco dell'if, ha in realtà scope di validità equivalente alla funzione ciao. Significa che la variabile gatto è disponibile anche fuori dall'if.

La variabile cane, invece, essendo dichiarata con let è disponibile soltanto nel blocco in cui è stata dichiarata, e quindi nel corpo dell'if (che inizia e finisce con le parentesi graffe).

Nel mondo reale, se non stai scrivendo codice JavaScript per il browser (che ha problemi di compatibilità), usa sempre, SEMPRE let. È molto più facile da comprendere (è simile a come funzionano le cose in altri linguaggi), e riduce enormemente la possibilità di fare errori o di introdurre bug difficili da trovare. Un altro vantaggio è il fatto che non si può dichiarare due volte una variabile usando let:

var gatto;
var gatto; // funziona

let cane;
let cane; // non funziona, grazie al cane

I tipi

JavaScript non è fortemente tipizzato, e i tipi non sono statici. Che vuol dire?

In pratica, che il tipo di una variabile può cambiare, e che quando si accede a una variabile non c'è nessun controllo sul suo tipo. Il linguaggio ci prova (a tempo di esecuzione!), e al massimo fallisce con un'eccezione.

let v = 1;
v = 'ciao'; // il tipo cambia
v = [1, 2, 3]; // due volte
v = null; // qualsiasi variabile può assumere valore null

Questa "feature" è sia un grande vantaggio che un grande disastro. Dà una grande libertà nel modo in cui si usano le variabili, e permette in molti casi di accorciare il codice, ma è spesso fonte di bug. Una lista di casini che seguono da questa "feature" si trova qua (ma sono cose abbastanza avanzate, leggerle all'inizio è un po' una follia).

I numeri

Una particolarità di JavaScript è che tutti i tipi numerici sono raggruppati in un unico tipo chiamato Number. La rappresentazione interna (in memoria) cambia in base a se il numero è un intero, un short (8 bit), o un numero in virgola mobile, o boh, ma all'esterno è tutto un Number.

Come si fa la conversione (parsing) di una stringa in numero?

Ci sono tanti modi. La tabella che segue li riassume. L'intestazione delle colonne indica il codice eseguito, e le varie righe sono l'output dell'istruzione.

Conversione numeri

Se la cosa ti spiazza, usa il metodo più semplice, che ha tra l'altro poche conseguenze indesiderate. Esempio:

let input = '123';
let numero = +input;

Detto in parole, metti un "+" davanti alla variabile contenente la stringa da convertire, e sarà convertita in numero. Se è già un numero, resta un numero. Se non è un numero, vediamo fra poco come si fa a capirlo.

Stringhe

Le stringhe funzionano. Supportano in automatico UTF-8, a differenza di altri linguaggi che ricordano certi simpatici rettili striscianti.

Un consiglio: quasi tutti gli sviluppatori JavaScript utilizzano gli apici singoli anziché quelli doppi, a differenza di Java.

Ciò significa che anche se entrambe queste forme sono corrette:

let a = "testo";
let b = 'testo';

Quella preferita è quasi sempre la seconda.

Le classi?

In Java ci sono le classi e l'intero linguaggio è orientato agli oggetti. In JavaScript, è un casino.

Prima di ES2015, le funzioni potevano essere assimilate a classi. Si poteva (e si può) scrivere:

function Classe() {}

Classe.prototype.metodo = function() {
    console.log('ciao');
};

var istanza = new Classe();

Questo pezzo di codice crea una funzione, modifica il prototipo della funzione aggiungendo un "metodo", e poi esegue new Classe() per creare un'istanza della classe. È tutto molto strano, fa' finta di non averlo mai visto.

Nelle versioni recenti di JavaScript, il tutto è più familiare:

class Classe {
    metodo() {
        console.log('è colpa di mattia');
    }
}

let istanza = new Classe();

Detto questo, le classi non le troverai quasi mai in JavaScript o Node.js. Ci sono altri modi più consolidati di strutturare il codice, e dato che il linguaggio non ti obbliga ad avere a che fare con le classi, puoi tranquillamente continuare a credere che non esistano, un po' come fanno alcuni con le famiglie arcobaleno.

Una cosa da sapere è che quando hai a che fare con le classi ci devi mettere un new davanti. Ad esempio, ti capiterà di scrivere new Date();, senza sapere se dietro quel new c'è una funzione o una classe vera e propria. Ma nulla di nuovo, no?

Object literal

Al posto delle classi, un modo mooolto diffuso per creare tipi personalizzati è utilizzare la notazione object literal. Questa permette di creare degli oggetti "al volo", e il risultato è simile a un dizionario, o hashmap.

let roba = {
    chiave: 'valore',
    fausto: false,
    numero: 123
};

A differenza delle classi, gli oggetti "anonimi" li troverai spesso, e ti troverai anche a scriverne. Ogni volta che ti serve creare un tipo "composto", usa la notazione object literal. È gratis.

Dal codice sopra si può osservare di nuovo la flessibilità di JavaScript. Il numero di proprietà/campi, così come il loro tipo, è completamente libero, e come detto prima può cambiare durante l'esecuzione.

Ad esempio, possiamo accedere a una proprietà di un oggetto e modificarla liberamente:

roba.numero = 'eheh';

Una sintassi equivalente è questa:

roba['numero'] = 'eheh';

Fanno la stessa identica cosa, puoi scegliere quella che ti piace di più.

In JavaScript, gli oggetti sono liberamente alterabili. Ad esempio, all'oggetto sopra si può aggiungere una proprietà, e non c'è modo di impedirlo.

roba.nuovaprop = 'aaa';

Questo vale anche per le classi. Anche se i campi/proprietà della classe sono ben definiti nel codice, nulla vieta di crearne di nuovi. Si può addirittura aggiungere un nuovo campo su un oggetto che non abbiamo creato noi. Ad esempio:

let d = new Date();
d.prop = 12; // si può fare
console.log(d.prop);

La flessibilità della notazione object literal permette di fare cose come queste:

let obj = {
    data: {
        valore: 1,
        gino: {
            aaa: 'ok'
        }
    },
    ok: true
};

E cioè l'annidamento degli oggetti è consentito senza limite di profondità. Esistono anche i riferimenti circolari, se li hai presenti.

Array literal

La notazione "literal" è disponibile anche per gli array/liste (che sono la stessa cosa!):

let arr = [1, 2, 3];
let arr2 = [true, 0, 'ciao'];

Anche in questo caso il controllo dei tipi non esiste, cioè ogni elemento dell'array può avere qualsiasi tipo, e può anche cambiare durante l'esecuzione. Per creare un array vuoto si fa così:

let arr = [];

Ci sono altri modi di farlo (come new Array()), ma non sono consigliati.

Per aggiungere un elemento a un array:

arr.push(1);

Gli oggetti possono essere elementi di un array, ed è molto comune trovarli. Ad esempio:

let arr = [];
arr.push({ val: 1 });
arr.push({ val: 2 });

Truthiness e falsiness

Come sai, in JavaScript esiste la coercizione dei tipi, quella cosa strana che permette ad esempio di confrontare una stringa con un intero, con conversione implicita. Le regole di conversione sono molto complesse, ma c'è una cosa fondamentale da sapere, e cioè quando un valore viene valutato come truthy o falsy ("abbastanza vero" e "abbastanza falso", diciamo).

Un valore è detto falsy se è uno dei seguenti:

  • null
  • undefined
  • 0
  • '' (stringa vuota)
  • NaN
  • false

Un valore è truthy se non è falsy.

Sembra un casino, ma in realtà è uno strumento molto potente. In sostanza permette di fare controlli rapidi sul contenuto di una variabile, per vedere approssimativamente se "contiene qualcosa". Ad esempio, supponiamo di avere una variabile input con un valore preso in input dall'utente, che pensiamo sia una stringa ma non sappiamo in realtà cosa abbia dentro. Possiamo scrivere:

// input è dichiarato da qualche parte sopra
if (input) {
    // la variabile contiene qualcosa,
    // che *non è* null, undefined, 0, '', NaN, false
}

Ancora più comune è vedere scritto:

if (!input) {
    // ritorno un errore perché l'input non è "valido"
}

Questa strategia si può usare anche per controllare che la conversione di qualcosa da stringa a Number sia avvenuta con successo. Dalla tabella di prima si può vedere che un numero che non è un numero diventa NaN, cioè un valore molto speciale che indica che quella variabile non contiene un numero. Dico che è un valore molto speciale perché è difficile da trattare. Ad esempio, non è uguale nemmeno a sé stesso!

Si può quindi verificare che un numero parsato non sia in realtà un numero così:

let n = +'non un numero';

if (isNaN(n)) {
    console.log('non è un numero');
}

Un modo più approssimativo è quello di usare il controllo implicito della truthiness di una variabile, quindi:

if (!n) {
    console.log('non è un numero');
}

Attenzione però, perché in questo caso il valore 0 non verrà considerato un numero!

Un altro caso d'uso della truthiness è per fornire un valore di default/fallback per una variabile. Esempio:

const PORT = process.env.PORT || 3000;

Il significato è che la costante PORT assume il valore della variabile process.env.PORT (cioè una variabile d'ambiente di nome PORT) se ha un valore (secondo la regola sopra), altrimenti il valore costante 3000.

Cicli for e for...of

Il ciclo for esiste e funziona come negli altri linguaggi:

for (let i = 0; i <= 10; i++) {
    // boh
}

Il foreach non esiste, ma è sostituito da for...of, praticamente uguale:

let arr = [1, 2, 3];

for (let item of arr) {
    console.log(item);
}

Esiste anche un altro modo per iterare un array, usando la funzione forEach definita sul tipo Array:

arr.forEach((item) => {
    console.log(item);
});

Undefined

In JavaScript, le variabili che non sono ancora state inizializzate si possono usare. Mentre in Java e in molti altri linguaggi una variabile non inizializzata non è "leggibile" finché non assume un valore, in JavaScript ha sempre un valore, che inizialmente è undefined.

Si può controllare se una variabile è undefined così:

let a; // dichiarata ma senza valore
console.log(a == undefined); // questo scrive true

Se la variabile non è dichiarata, questo metodo non funziona. Bisogna invece utilizzare l'operatore typeof, così:

// non ho ancora dichiarato nesuna variabile
console.log(typeof a == 'undefined'); // true

Node.js REPL

Siamo a metà. È ora di passare a Node.js.

Una delle prime cose da sapere quando si prende in mano Node.js è che JavaScript è un linguaggio di scripting. Significa che il codice può essere scritto ed eseguito inserendolo direttamente in un file .js, senza dover inserire funzioni "main", oppure classi, ecc. Il codice viene eseguito come script (come avviene con l'amico bash).

C'è di più, aprendo una finestra del terminale e scrivendo node, si entra nella REPL di Node.js, e cioè una modalità interattiva in cui si può scrivere del codice JavaScript riga per riga, e le istruzioni vengono eseguite "istantaneamente".

npm

npm è il gestore dei pacchetti di Node.js, installato in automatico con Node.js. I pacchetti disponibili sono consultabili sul sito web npmjs.com.

Nelle versioni recenti di npm, per installare un nuovo modulo nel progetto corrente si usa:

npm install nomemodulo

È importante aver eseguito npm init prima di questo comando, perché altrimenti l'installazione del modulo potrebbe non essere eseguita nella cartella corrente ma in una "padre".

I comandi npm init e poi npm install creano due file: package.json e package.lock.json.

  • package.json memorizza le informazioni sul progetto, tra cui la lista delle sue dipendenze
  • package.lock.json memorizza le versioni esatte delle dipendenze del progetto, in modo che se un'altra persona vuole poi continuare lo sviluppo sul progetto, può scaricare le stesse identiche dipendenze

I moduli scaricati (cioè le dipendenze) vengono installati nella cartella node_modules, che con il tempo diventerà enorme. Contiene il codice sorgente di tutti i moduli di cui il programma ha bisogno per funzionare.

Come si utilizza npm assieme a git?

  • npm init va eseguito soltanto la prima volta, per creare il file package.json, che va committato
  • npm install modulo si usa ogni volta che si deve aggiungere un nuovo modulo. Il comando aggiorna sia il file package.json che il file package.lock.json. Entrambi i file vanno committati nella repository
  • la cartella node_modules non va mai committata
  • quando si scarica un progetto da git, bisogna installare le sue dipendenze. Per farlo, si esegue npm install senza nessuna opzione, così le dipendenze vengono lette in automatico dai file package.json e package.lock.json

Consiglio anche di usare il sito web gitignore.io per generare un file .gitignore per Node.js e il vostro sistema operativo, da inserire nella radice della repository. L'effetto sarà quello di impedire che file che devono restare locali vengano tracciati da git.

node e nodemon

Per eseguire un file JavaScript con Node.js, scrivi in un terminale:

node index.js

Dove index.js è l'entrypoint del programma.

Quando i file sorgente vengono modificati, per riavviare l'applicazione bisogna interrompere con CTRL+C, e poi eseguire di nuovo il comando.

Più facilmente, si può installare il modulo nodemon globalmente (cioè in una cartella di sistema che vale per tutti i progetti), e poi usarlo al posto di node. In questo modo, il processo si riavvierà in automatico ad ogni modifica del codice sorgente.

Da eseguire solo una volta:

npm install -g nodemon

Per avviare un programma con nodemon:

nodemon index.js

Importare i moduli nel codice

Dopo aver installato un modulo (ad es. express oppure request), il modulo può essere importato nel programma scrivendo:

const express = require('express');

Due cose da notare:

  • la funzione require è fornita da Node.js, e serve appunto per importare un modulo
  • in genere si dichiara il modulo come costante (con const), in modo che non possa essere riassegnato successivamente nel codice

Il modulo importato corrisponde di solito a una funzione o a un un oggetto, e permette quindi di fare cose del tipo:

const modulo = require('modulo');
modulo(); // richiamo il modulo come funzione
modulo.getQualcosa(); // il modulo è un oggetto, espone delle funzioni

Per sapere come si usa un modulo, bisogna fare riferimento alla documentazione del modulo, oppure al suo codice sorgente.

La natura asincrona di Node.js

Sei concentrato? Massima concentrazione. Questa parte è importantissima.

Node.js esegue il codice utente sempre e comunque in un unico thread. Non significa che il runtime utilizza un thread per fare tutte le sue cose, ma ne fornisce soltanto uno allo sviluppatore, e non è nemmeno possibile crearne altri manualmente.

Questo metodo funziona perché le operazioni di I/O (input/output) vengono eseguite in modo asincrono rispetto al thread del programma.

Ogni volta che il programma richiede la lettura o la scrittura di un file, oppure di scrivere su un socket di rete (quindi ad esempio per inviare una richiesta HTTP), Node.js trasferisce la richiesta al file system o ai livelli di rete inferiori, e poi libera il thread.

In Java, invece, quando si legge un file o si scrive su uno stream le chiamate sono bloccanti. Significa che mentre il programma è in attesa di una risposta dal file system, il thread è bloccato, e cioè sta lì letteralmente a fare niente e nessun altro codice può essere eseguito su quel thread.

Nella pratica l'asincronismo di JavaScript/Node.js si traduce nel seguente codice:

const request = require('request');

let url = 'https://unitn.it';

request(url, function finished(err, res, body) {
    console.log(res.statusCode);
});

Cosa sta succedendo, in breve?

  • importo il modulo request, che ho scaricato da npm (serve per inviare richieste HTTP/S). Il modulo è una funzione, e cioè posso "metterlo in moto" scrivendo request()
  • chiamo request(), e passo come primo parametro l'URL del sito web da cui voglio scaricare i dati, e come secondo parametro una funzione
  • la chiamata della funzione request esegue del codice sull'unico thread di Node.js, e poi passa la richiesta di rete al sistema operativo
  • quando la richiesta di rete termina, il modulo request si occupa di chiamare la funzione di callback che abbiamo passato come parametro, in modo che il risultato possa essere elaborato

Ora apriamo una parentesi, e vediamo come si scrivono e si usano le funzioni. Poi torniamo a capire meglio il funzionamento asincrono di JavaScript. Sempre massima concentrazione.

Funzioni, funzioni anonime, e funzioni freccia

La sintassi per creare una funzione con un nome è molto semplice:

function nomeFunzione(x, y) {
    // corpo
}

Un po' di cose da notare:

  • il tipo di ritorno non va specificato
  • il nome della funzione utilizza per convenzione il camelCase
  • i parametri della funzione non hanno tipo ma soltanto nome

Una funzione può anche essere anonima, e quindi non avere un nome. Ad esempio:

function(x, y) { /* codice */ }

A questo punto però la funzione è dispersa nel nulla, per cui possiamo assegnarla a una variabile per poi poterla chiamare:

let fn = function(x, y) { /* codice */ };

A partire da ES2015, è disponibile una sintassi ancora più breve per creare una funzione anonima, che prende il nome di "funzione a freccia", o "arrow function":

let fn = (x, y) => { /* codice */ };

...che normalmente viene scritta su più righe:

let fn = (x, y) => {
    // codice
};

La funzione fn si può in ogni caso chiamare come una qualsiasi funzione scrivendo ad esempio fn(1, 2).

Riprendiamo il codice di prima. Vediamo che c'è una funzione con un nome (finished), passata come parametro.

request(url, function finished(err, res, body) {
    console.log(res.statusCode);
});

Riscriviamo ora la funzione utilizzando la sintassi a freccia:

request(url, (err, res, body) => {
    console.log(res.statusCode);
});

Ecco, questa è attualmente la sintassi consigliata per le funzioni callback (ci arriviamo in un attimo). Quindi, quando devi passare una funzione come parametro, usa una funzione a freccia, perché così fan tutti (semicit.).

Callback, dicevamo

Una funzione di callback è una funzione che viene chiamata al termine dell'elaborazione di una richiesta di I/O asincrona.

Nell'esempio sopra, quando il modulo request ha ricevuto dal sistema operativo la "notifica" che l'operazione di rete è terminata, la funzione di callback che è stata passata da noi sviluppatori come parametro viene chiamata e quindi eseguita.

Prima o poi ti capiterà di utilizzare le callback nel tuo codice. Ad esempio, se volessi spostare il codice che fa la richiesta HTTP, che abbiamo visto sopra, in una funzione dedicata, dovrai fare qualcosa del tipo:

function getResponseStatusCode(url, callback) {
    request(url, (err, res, body) => {
    	callback(res.statusCode);
    });
}

let url = 'https://unitn.it';

getResponseStatusCode(url, (code) => {
    console.log('Response status code was: ' + code);
});

Phew. Ci sono delle cose da chiarire qua. La funzione getResponseStatusCode prende come input un URL (una stringa) e una funzione di callback. All'interno della funzione, request viene invocato, e quando termina la funzione di callback (chiamata callback) viene chiamata, passando come parametro il codice di risposta HTTP.

Il codice di risposta lo ritroviamo poi nella penultima riga del codice, quando all'interno di un'altra callback viene letto usando il parametro.

Una pratica diffusa per le funzioni di callback si chiama error-first callback, e consiste nel passare come primo parametro un errore (di tipo Error, che è in pratica l'equivalente di un'eccezione), e come secondo parametro il risultato dell'operazione. Il codice di prima con la gestione degli errori diventerebbe quindi:

function getResponseStatusCode(url, callback) {
    request(url, (err, res, body) => {
        if (err) { // controlla eventuali errori di rete come i timeout
            callback(err);
            return;
        }
        
    	callback(null, res.statusCode);
    });
}

let url = 'https://unitn.it';

getResponseStatusCode(url, (err, code) => {
    if (err) {
        console.log('An error has occured');
        console.log(err);
        return;
    }
    
    console.log('Response status code was: ' + code);
});

Le funzioni asincrone adottano questa convenzione quasi sempre, per cui ti capiterà di scrivere callback nel formato (err, result) => {} molto frequentemente. Ad esempio, tutte le funzioni asincrone fornite da Node.js, tra cui quelle per leggere e scrivere file, adottano questa convenzione. Soltanto alcuni (rari) moduli hanno deciso di recente di rimuovere il supporto alle callback e di passare alle Promise, che sono spiegate più avanti.

Il funzionamento asincrono con le callback di Node.js impedisce di scrivere codice sequenziale come negli altri linguaggi. Se vogliamo quindi eseguire una richiesta asincrona dopo l'altra, dobbiamo annidare le richieste all'interno delle callback. In modo semplificato, intendo questo:

one(() => {
    console.log('Uno');
    
    two(() => {
        console.log('Due');
        
        three(() => {
            console.log('Tre');
        });
    });
});

console.log('Zero');

Se supponiamo che le funzioni one, two, e three siano asincrone, le istruzioni console.log() indicano l'ordine dell'output.

Se invece avessimo scritto il codice seguente, l'ordine dell'output sarebbe stato imprevedibile.

one(() => {
    console.log('Uno');
});

two(() => {
    console.log('Due');
});

Il loop degli eventi

Abbiamo detto che Node.js ha un solo thread per eseguire il codice. Ma come funziona nello specifico? Chi decide quale codice viene eseguito?

Tutto si basa sul loop degli eventi (event loop, come dicono quelli). È in sostanza un ciclo che esegue porzioni di codice sincrono, di continuo, una dopo l'altra, finché c'è qualcosa da processare.

Per capire meglio, rubo uno schema da qua:

Event loop

Sull'asse delle ascisse troviamo il tempo, e i blocchi verdi sono le varie fasi che compongono ogni singolo "loop". Come vedi, tra le tante c'è una fase che esegue i timer, e una che esegue le callback, cioè in pratica tutto il codice utente che scriverai. Ogni fase ha una coda FIFO contenente funzioni che devono essere eseguite.

Se volessimo, Node.js ci permetterebbe anche di bypassare queste code, ad esempio utilizzando setImmediate(fn), che esegue la funzione specificata al prossimo loop, indipendentemente da quanto altro codice abbiamo in coda.

Si può anche utilizzare la funzione process.nextTick(fn), che permette di schedulare l'esecuzione della funzione al prossimo tick (si veda il diagramma per capire cos'è un tick).

Per dimostrare il fatto che Node.js esegue una funzione alla volta, prendiamo il seguente codice:

setTimeout(() => {
    console.log('Timeout expired');
}, 1000);

while (true) {
    ;
}

La chiamata a setTimeout aggiunge nella coda dei timeout una funzione da eseguire fra un secondo. Poi c'è un ciclo infinito, che non fa niente ma tiene la CPU occupata.

Eseguendo questo codice, si scoprirà che il codice all'interno del timeout non verrà mai eseguito, perché il loop degli eventi è impegnato ad eseguire il ciclo infinito.

Questo è il motivo fondamentale per cui Node.js non va usato per eseguire operazioni che richiedono molta CPU. Immaginate un server web che gestisce 10 richieste al secondo. Se ciascuna di queste richieste impiega un secondo di CPU (quindi ad esempio c'è un ciclo enorme), le richieste devono attendere rispettivamente 1, 2, 3, ecc. secondi prima di ricevere una risposta!

RICORDA: mai inserire codice sincrono che richiede molto tempo ad essere eseguito, altrimenti Node.js non worka! La "potenza" di Node.js è quella di riuscire a ottenere prestazioni eccezionali quando ci sono tante operazioni di I/O (ad esempio lettura/scrittura su un database), ma con poco codice che usa la CPU!

C'è un'altra cosa da notare. Scriviamo del codice che esegue delle operazioni sincrone, poi chiama qualcosa di asincrono, e poi nient'altro. Nel momento in cui c'è la chiamata asincrona, il loop degli eventi "stacca" la CPU dalla funzione, e continua eventualmente il suo lavoro con altro codice in coda.

Ci sei ancora? Vediamo un esempio, con dei commenti:

let out = '';
while (i < 100) {
    out += i + ';';
}
// ^^^^ le tre righe sopra sono CODICE SINCRONO
// vengono eseguite tutte insieme E NON POSSONO ESSERE MAI MAI MAI INTERROTTE

// la riga sotto effettua internamente una chiamata ASINCRONA al sistema operativo
// soltanto quando la richiesta di rete sarà terminata, il controllo sarà passato alla funzione di callback
// cioè: la richiesta *non è bloccante*
request('https://unitn.it', () => {
    console.log('Questo viene eseguito dopo');
});

Essendo Node.js single threaded, bisogna raramente preoccuparsi dei problemi di sincronizzazione, proprio perché un blocco di codice sincrono non può mai essere interrotto a metà, se non per la presenza di una richiesta di I/O.

Torniamo alla definizione...

Spesso si dice che Node.js è un runtime con I/O non-blocking e event-driven.

Ora puoi capire meglio perché:

  • non-blocking, perché quando ci sono operazioni di I/O il thread non sta lì ad aspettare bloccato
  • event-driven perché c'è il loop degli eventi

Express.js

Express.js è un framework per realizzare applicazioni web in Node.js, utilizzando il protocollo HTTP. Non è considerato da tutti il migliore, ma è sicuramente il più popolare.

Come si scrive un semplice server web in Express.js? Così:

const express = require('express');
const app = express();

app.get('/', (req, res) => {
    res.send('Hello'); 
});

app.listen(3000);

Stiamo mettendo in pratica tutto quanto detto finora.

Il modulo express viene importato come costante, e questo modulo è una funzione. Nella seconda riga infatti eseguiamo express() per creare un'istanza del server web. Come si fa a sapere che si fa così e magari non scrivendo new express()? Dipende da modulo a modulo, quindi bisogna leggere la sua documentazione.

Successivamente, nel codice registriamo una funzione per ricevere le richieste GET all'endpoint / del server web. La funzione è una funzione di callback, e in questo caso riceve due variabili come argomenti: quella che descrive la richiesta e quella che descrive la risposta. res permette anche di rispondere e inviare qualcosa al client.

Alla fine del codice il server viene avviato con una chiamata a app.listen(). Da quel momento in poi, il server accetta richieste HTTP ed utilizza i middleware e le route specificate in precedenza per gestire le richieste.

Express.js: rispondere con JSON

Il codice sopra si può modificare lievemente per fare in modo che risponda alle richieste con un oggetto, che viene serializzato (cioè convertito da oggetto a stringa) in automatico da Express.

app.get('/', (req, res) => {
    let roba = { name: 'Niccolò' };
    
    res.send(roba); 
});

Con questo codice però c'è un problema. Se non diciamo a Express di fare diversamente, lui/lei assume che quello che vogliamo inviare sia una pagina HTML. Imposterà quindi l'header HTTP Content-Type scrivendoci dentro text/html.

Per "risolvere" questo problema, dobbiamo sostituire la riga res.send(roba); con:

res.json(roba);

Fa la stessa cosa di prima, ma imposta l'header Content-Type: application/json in automatico.

Express.js: middleware

Se vieni da Java Servlet, conoscerai i filtri, cioè catene di metodi che permettono di manipolare la richiesta/risposta HTTP.

Si può fare anche usando Express.js, con i middleware.

app.use((req, res, next) => {
    console.log('Sta arrivando una qualsiasi richiesta');
    next();
});

app.use('/', (req, res, next) => {
    console.log('Sta arrivando una richiesta a /');
    next();
});

app.get('/', (req, res) => {
    let roba = { name: 'Niccolò' };
    
    res.send(roba); 
});

app.use((req, res) => {
    res.status(404).json({ error: 'Page not found' });
});

Nel codice sopra, registriamo un middleware chiamando app.use(). La funzione di callback viene chiamata non appena arriva una richiesta HTTP (una qualsiasi), e l'elaborazione non procede finché non viene chiamata la funzione next().

La stessa cosa avviene con il secondo middleware registrato, che questa volta però è specifico per l'endpoint / del server web.

I middleware sono spesso comodi perché permettono di manipolare la richiesta in molti modi, ad esempio facendo il parsing del corpo della richiesta prima dell'elaborazione dei suoi dati. Possiamo usare i middleware anche per gestire l'autenticazione/autorizzazione, fermando subito le richieste non valide.

Un'altra applicazione interessante è quella di mostrare una pagina di errore 404 personalizzata. Lo si può fare come nell'esempio sopra, aggiungendo un middleware dopo tutti gli altri. Quel middleware sarà raggiunto soltanto se nessun middleware precedente avrà preso in carico la richiesta HTTP.

Strutturare il codice in moduli

Abbiamo detto che le classi in JavaScript si usano poco. Ma allora come si struttura il codice?

Si possono usare i moduli. Semplificando, in Node.js ogni file che scriviamo è un modulo. Ogni file può quindi decidere di esportare delle funzioni, che saranno accessibili dagli altri moduli.

Facciamo un esempio. Questo è il file modulo.js, e l'ultima riga esporta una funzione:

function getName() {
    return "Niccolò";
}

module.exports = getName;

Negli altri file possiamo poi scrivere:

const modulo = require('./modulo.js');
let name = modulo();

console.log(name);

Il modulo è diventato una funzione, ma con il vantaggio che all'interno del modulo ci possono essere altri cento metodi, inaccessibili dall'esterno!

Un modulo può anche esportare più di una funzione, ad esempio (modulo.js):

function getName() {
    return "Niccolò";
}

function getAge() {
    return 21;
}

module.exports = { getName, getAge };

Nota: l'ultima riga è equivalente a scrivere:

module.exports = {
    getName: getName,
    getAge: getAge
};

Negli altri file si potrà poi usare il modulo così:

const modulo = require('./modulo.js');
let name = modulo.getName();
let age = modulo.getAge();

console.log(name + '(' + age + ')');

Non è obbligatorio esportare tutte le funzioni contenute in un modulo, anzi: il modulo deve fornire un'interfaccia pubblica per gli altri moduli, ma tenere "privato" tutto ciò che non deve essere accessibile direttamente.

Express.js: i middleware come moduli

I moduli si possono sfruttare anche in combinazione con Express.js. Immaginiamo di avere una API scritta con Express, con due endpoint /movies e /songs. Il codice assomiglierà più o meno a:

const express = require('express');
const app = express();

app.get('/movies', (req, res) => {
    let movies = [
        { title: 'Sunshine', year: 2007 },
        { title: 'Your Name.', year: 2016 }
    ];
    
    res.json(movies);
});

app.get('/songs', (req, res) => {
    let songs = [
        { title: 'Ophelia', artist: 'Roo Panes' },
        { title: 'Gosh', artist: 'Jamie xx' }
    ];
    
    res.json(songs);
});

app.listen(3000);

Quando gli endpoint diventano tanti e più complessi, il codice può diventare ingestibile. Si può allora spostare il codice delle funzioni callback in moduli separati. Ad esempio:

File movies.js:

let getMovies = (req, res) => {
    let movies = [
        { title: 'Sunshine', year: 2007 },
        { title: 'Your Name.', year: 2016 }
    ];
    
    res.json(movies);
};

module.exports = { getMovies };

File songs.js:

let getSongs = (req, res) => {
    let songs = [
        { title: 'Ophelia', artist: 'Roo Panes' },
        { title: 'Gosh', artist: 'Jamie xx' }
    ];
    
    res.json(songs);
};

module.exports = { getSongs };

Il file principale diventa quindi molto più compatto:

const express = require('express');
const app = express();

const movies = require('./movies.js');
const songs = require('./songs.js');

app.get('/movies', movies.getMovies);
app.get('/songs', songs.getSongs);

app.listen(3000);

Cose moderne: Promise

Come detto prima, quando si hanno più operazioni asincrone da eseguire in sequenza il codice va "annidato" all'interno delle callback.

Questa pratica genera però in alcuni casi un problema che viene chiamato callback hell. Avviene quando ci sono molte callback dentro altre callback, e quindi l'indentazione del codice tende a crescere molto rapidamente, con problemi di leggibilità del codice e maggiore probabilità di introdurre bug.

Un esempio potrebbe essere questo:

downloadFile((path) => {
    openFile(path, (fd) => {
        readFile(fd, (content) => {
            parseFile(content, (data) => {
                process(data, () => {
                    console.log('Finish');
                });
            });
        });
    });
});

Le funzioni sono inventate, ma l'idea di base è che quando ci sono molte operazioni asincrone che hanno bisogno del risultato di un'altra operazione asincrona, si può arrivare a una situazione di questo tipo.

Le Promise sono un tentativo di risolvere questo problema. L'obiettivo è "appiattire" la struttura del codice, ed evitare quindi l'indentazione ad ogni chiamata asincrona.

Supponiamo per un attimo di avere una funzione che ritorni una Promise. Se con le callback dovevamo chiamare una funzione e passare una funzione di callback come parametro, con le Promise la callback non va passata alla funzione direttamente, ma a una funzione .then(), da eseguire sulla Promise.

Vediamo un esempio che è meglio:

downloadFile().then((path) => {
    // questa è la callback
});

La funzione downloadFile ritorna una Promise. Dobbiamo saperlo in anticipo, perché se chi ha scritto quella funzione non ha pensato alle Promise, questa cosa non funziona.

La Promise ritornata dalla funzione è un oggetto, su cui sono definiti dei metodi. Uno di questi è la funzione then(fn). È facile intuire a cosa serve. Quando l'esecuzione del codice della Promise termina (si dice che la Promise viene risolta), la funzione di callback che specifichiamo viene chiamata.

Una Promise non è altro che un "contenitore" di codice. Quando una Promise viene creata, il suo codice viene eseguito istantaneamente!

Quanto detto finora non risolve però il problema del "callback hell". Infatti, se riscriviamo il codice di prima con le Promise, siamo da capo, abbiamo solo spostato il problema:

downloadFile().then((path) => {
    openFile(path).then((fd) => {
        readFile(fd).then((content) => {
            parseFile(content).then((data) => {
                process(data).then(() => {
                    console.log('Finish');
                });
            });
        });
    });
});

La funzionalità cruciale delle Promise che ci permette di risolvere il callback hell è la concatenabilità delle Promise. Significa che una Promise può essere "collegata" a un'altra Promise.

Vediamo subito l'esempio sopra con le Promise usate bene:

downloadFile()
    .then((path) => {
        return openFile(path);
    })
    .then((fd) => {
        return readFile(fd);
    })
    .then((content) => {
        return parseFile(content);
    })
    .then((data) => {
        return process(data);
    })
    .then(() => {
        console.log('Finish');
    });

Visto? Abbiamo scritto una catena di Promise. Stiamo ancora usando le callback, ma non stiamo più aumentando l'indentazione ad ogni chiamata asincrona.

Come si gestiscono gli errori? Con le Promise non abbiamo più l'error-first callback che abbiamo visto prima. Gli errori possono essere gestisti con la funzione catch(fn). Il codice sopra diventa quindi una cosa del genere:

downloadFile()
    .then((path) => {
        return openFile(path);
    })
    .then((fd) => {
        return readFile(fd);
    })
    .then((content) => {
        return parseFile(content);
    })
    .then((data) => {
        return process(data);
    })
    .then(() => {
        console.log('Finish');
    })
    .catch((err) => {
        console.log('There\'s been an error');
        console.log(err);
    });

Il gestore degli errori (quello in fondo) vale per tutte le Promise della catena. Se un'operazione fallisce, la catena si interrompe e il prossimo gestore degli errori viene richiamato.

Ti starai chiedendo: ma tutti gli esempi che abbiamo visto finora usavano le callback normali, come si fa a usare le Promise?

Beh... È un casino. Se vuoi usare le Promise, l'ideale sarebbe che i moduli che usi supportino le Promise. Ad esempio, il modulo node-fetch per eseguire richieste HTTP le supporta in automatico. Puoi quindi scrivere:

const fetch = require('node-fetch');

fetch('https://unitn.it')
    .then((resp) => {
        console.log(resp.text());
    });

Ma c'è un piiiiccolo problema. I moduli nativi di Node.js, ad esempio quello per leggere i file dal file system, non supportano le Promise.

A partire da Node.js 8, esiste però una funzione apposita per "convertire" le error-first callback in Promise. Si fa così:

const util = require('util');
const fs = require('fs');

const readFile = promisify(fs.readFile);

// ora readFile è una Promise
readFile('file.txt').then((content) => {
    console.log(content);
});

Cosa succede all'interno di promisify? Viene creata in modo automatico una Promise. Se vuoi capire meglio, dai un'occhiata al codice sorgente di Node.js. È JavaScript abbastanza avanzato, ma a un certo punto (L275) si vede che viene creata la Promise, con new Promise. Poi viene chiamata la funzione da "promisificare" (L276), e la Promise viene "risolta" o "respinta" in base a se ci sono o meno errori.

SE TI SENTI PERSO: lo sono anche io. Non sei obbligato/a ad usare le Promise, la stragrande maggioranza dei moduli non le supporta ancora, e il problema del callback hell non è così comune se si organizza bene il codice. Ma se la cosa ti appassiona, la prossima sezione è per te.

Bonus: Promise.all([p1, p2, ..., pn]) serve per creare una Promise che al suo interno esegue il codice di tutte le Promise p1, p2, ecc., in modo concorrente. I risultati vengono poi ritornati tutti insieme. C'è un esempio sulla pagina di MDN.

Cose moderne: async/await

Ora che abbiamo incasinato le cose per bene con le Promise, proviamo a semplificarle. A partire da Node.js 7.6 (versione di JavaScript ES2017), è stato abilitato il supporto all'operatore await. Il suo scopo è quello di prendere una Promise e di eseguirla come se fosse codice sincrono.

Ad esempio, prendiamo la Promise per leggere un file che abbiamo creato prima, e usiamola con await:

let content = await readFile('file.txt');
console.log(content);

È ancora tutto asincrono e non bloccante, ma l'impressione è che il codice sia sincrono (e sequenziale).

Con await, le callback non si usano più. Ma per poterlo usare, devi avere a disposizione delle Promise.

Per far funzionare il pezzo di codice sopra, dobbiamo inserirlo in una funzione, e dichiarare la funzione come asincrona. Esempio:

async function run() {
    let content = await readFile('file.txt');
    return content;
}

run();

La gestione degli errori si fa ora con try...catch, così:

try {
    let content = await readFile('file.txt');
    return content;
}
catch (ex) {
    console.log(ex);
}

Come approfondire

La documentazione di MDN per quanto riguarda JavaScript è in generale eccellente. Se vuoi andare in profondità, una lettura consigliata è questo libro gratuito che si chiama You don't know JS. Esplora l'intero linguaggio JavaScript in modo davvero completo.

Per quanto riguarda il resto, in genere vale la documentazione di Node.js (attenzione alla versione), e quella dei moduli che usate, ad esempio Express e request.

Consiglio anche questa newsletter settimanale, per restare aggiornato sulle nuove versioni di Node.js e ricevere articoli di approfondimento.

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